Pensione di reversibilità

Criteri di ripartizione tra l’ex coniuge e il coniuge superstite

di Alessandro Piermarini

Un argomento di interesse crescente è la ripartizione tra ex coniuge e coniuge superstite della pensione di reversibilità.
Al fine di determinare la quota di pensione di reversibilità spettante al coniuge divorziato ed al coniuge superstite la legge individua il criterio legale della durata dei rispettivi rapporti di coniugio, il criterio cioè della durata del matrimonio.

In base all’art. 9 comma 3, Legge 898/1970: “Qualora esista un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, una quota della pensione e degli altri assegni a questi spettanti è attribuita dal tribunale, tenendo conto della durata del rapporto, al coniuge rispetto al quale è stata pronunciata la sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e che sia titolare dell’assegno di cui all’art. 5.
Se in tale condizione si trovano più persone, il tribunale provvede a ripartire fra tutti la pensione e gli altri assegni, nonché a ripartire tra i restanti le quote attribuite a chi sia successivamente morto o passato a nuove nozze”.

Inoltre, l’art. 5 comma 6, prevede che: “Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive».

Il criterio legale della durata del matrimonio va equilibrato anche con l’indice correttivo della convivenza prematrimoniale

Bisogna “tenere conto” dell’elemento temporale, la cui valutazione non può in nessun caso mancare; anzi a tale elemento può essere riconosciuto valore preponderante e il più delle volte decisivo, ma non sino a divenire esclusivo nell’apprezzamento del giudice, la cui valutazione non si riduce ad un mero calcolo aritmetico.

Partendo quindi dal dato normativo (l’art. 9 c. 3 legge 898/1970) ed alla luce di quanto affermato dalla giurisprudenza, si possono indicare i seguenti i criteri:

  • durata dei rispettivi matrimoni (criterio legale ai sensi dell’art. 9 c. 3 legge cit.);
  • entità dell’assegno di mantenimento riconosciuto all’ex coniuge;
  • condizioni economiche dei due (coniuge divorziato e coniuge superstite);
  • durata delle rispettive convivenze prematrimoniali.

La convivenza prematrimoniale, in particolare, per essere valutata quale indice sintomatico della funzione di sostegno economico assolta dal dante causa nel corso della propria vita mediante la condivisione dei propri beni con la persona poi divenuta coniuge, non può essere artificialmente parcellizzata solo perché, in parte, coincidente con il periodo di separazione legale che ha preceduto il divorzio; ciò significa attribuire alla convivenza prematrimoniale la funzione di indice correttivo da inserire all’interno del complessivo ed articolato giudizio che deve condurre alla adeguata determinazione delle quote.

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